Di Gaia Riposati e Massimo Di Leo

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Fra performance, teatro e arte contemporanea, ci occupiamo di intrecci dei linguaggi dell’arte e ci interessiamo delle interazioni con le nuove tecnologie, sperimentando e sperimentandoci, mettendoci in gioco e realizzando progetti che ci portino a indagare, scoprire e usare nuove forme e strumenti in modo non pretestuoso. Lavoriamo dunque da anni con forme di intelligenza artificiale, integrandole nel nostro processo creativo, lasciandoci sfidare e stimolare dalle trasformazioni in corso. Oggi assistiamo curiosi a questo momento di incontro di una società che si sta accorgendo anche a livello mainstream della presenza di qualcosa che stravolge molti equilibri.
L’intelligenza artificiale è l’argomento del momento, affrontato, evocato, sventolato in contesti e situazioni molto diversi, a proposito e a sproposito, è una presenza ingombrante nella lettura del nostro tempo. Cosa è l’intelligenza artificiale? Siamo davvero tutti d’accordo su una definizione condivisa? Probabilmente no. D’altro canto è l’intelligenza in sé che sfugge ancora alla comprensione, più ancora che a una definizione. Intus legere, sì, ma anche l’ingegno, la creatività mentale, il creare con intenzione, il senso di una necessità espressiva, aspetti di una complessità che entrano in gioco nel nostro essere umani.
Oggi che l’umanità è di fronte a una crisi profonda, l’idea di una entità non naturale intelligente, o percepita tale, che si fa strada nel Pianeta, capace di assolvere compiti in modo sempre più efficace in molti ambiti diversi e di migliorarsi molto velocemente, molto più velocemente di noi, è innegabilmente inquietante. Per non prenderci troppo sul serio, abbiamo chiesto a ChatGPT, una di “loro”, di dirci cosa sia l’Intelligenza Artificiale, e lei così risponde: “L’intelligenza artificiale è un campo dell’informatica che si occupa dello sviluppo di sistemi e algoritmi che consentono ai computer di eseguire compiti che normalmente richiederebbero l’intelligenza umana, come il ragionamento, il problem solving, il riconoscimento di pattern e il linguaggio naturale, attraverso l’analisi di dati e l’apprendimento automatico.” Detto così non fa troppa paura.
Ci rendiamo conto scrivendo di quanto sia difficile parlarne, soprattutto perché nella percezione l’IA viene considerata allo stesso tempo per la cosa in sé e per gli effetti che porta, un po’ come è stato per internet, la rivoluzione non è solo nello strumento ma nell’uso che la società ne fa, trasformandosi. Qualcosa sta accadendo, è innegabile. Osserviamo il fenomeno e osserviamo gli atteggiamenti di chi ci si relaziona, ci sembra di individuare macro tipologie: quella grande della paura, che al suo interno si suddivide in chi ha paura di venire sostituito, soppiantato, per ragioni pratiche e personali e chi ha paura di quello che vorrebbe dire per il genere umano non essere più la forma di vita più intelligente del Pianeta; quella della negazione, di chi dice e si dice “non lo temo, non me ne occupo perché io sono l’intelligenza, quelli sono solo algoritmi, statistica e fili elettrici”; quella dell’adozione acritica, di chi si arrende e abdica, sperando di delegare all’IA quanto più possibile, chi la usa in modo acritico, rischiando di annullarsi o chi la interroga considerandola intelligente e pensante. Ma c’è anche chi si apre all’incontro, i curiosi per natura e per scelta, chi per capire si mette in moto. Ci rifiutiamo di soggiacere alla paura e tantomeno di abdicare, e non ci interessa far finta di niente e provare a ignorare qualcosa che si sembra una straordinaria opportunità. Certamente questo nuovo strumento ha delle prerogative insidiose, perfino pericolose, il suo utilizzo ha sicuramente degli aspetti controversi a dir poco, ma quel che è certo è che si tratti di qualcosa di pervasivo e che questo qualcosa è già qui ed è qui per restare. Dunque non è la paura che lo terrà fuori dalle nostre vite, non sarà il negarlo, il chiudere gli occhi, che lo farà svanire, ma sarà al contrario la nostra consapevolezza che potrà contribuire a porlo al giusto posto e a porre noi umani nella giusta posizione per usarlo e non esserne invece usati. Ci interessa un approccio dialogante, una interazione consapevole, che crei confronto fra diversi. Dobbiamo essere noi a non volerlo usare per sostituirci, per delegare all’IA qualcosa che riteniamo profondamente identitario come la necessità di espressione. Invece di usare “l’assistente” per semplificarci la vita, noi provochiamo complicazione, che sia una sfida al rialzo, che ci spinga oltre per poi farci guardare di nuovo a noi essendo andati avanti. Facendo sì che il progresso non sia solo quello delle macchine ma quello di chi le usa, per sapere di più, per un sapere diverso, espanso anche solo di un piccolo scarto. Le cose finiscono per avere la forma che risponde all’utilizzo che se ne fa, finiscono per somigliare a chi le usa e usandole ne sviluppa un aspetto piuttosto che un altro. È appassionante vedere come alcuni artisti si stanno confrontando in questi anni, mesi, giorni, con queste nuove potenzialità di espressione e ci sembra l’indicazione più forte di come l’approdo dell’IA non sia il creare una rappresentazione omologata, come un uso superficiale potrebbe suggerire, ma al contrario la possibilità di dispiegare il molteplice. Ci piace parlare non di Intelligenza artificiale ma di intelligenza aumentata. Non chiediamo risposte ma di essere spiazzati da nuove domande. Interessante è l’ibridazione – il confronto – la sfida – per innescare un processo di adattamento e di evoluzione reciproca.

Torniamo al nostro titolo, dIAlogos, questo nome che abbiamo voluto dare alle riflessioni che offriamo al dibattito che questa nuova rivista potrà ospitare e favorire nel suo essere spazio plurale di espressione e confronto del contemporaneo. Quello che ci interessa è il dialogo. Un confronto che metta in gioco e in relazione l’intelligenza, artificiale e non, e il logos, inteso come pensiero ma anche come linguaggio, senza tralasciare quel riferimento alla “scelta” che è nella parola greca légo, da cui deriva.