Meeting with Donatella Spaziani and an IA, the Reflection Companion, in the spirit of a maieutics of the contemporary

Listen to the article here:

by Gaia Riposati and Massimo Di Leo

In cammino in questo tempo in continua e vertiginosa mutazione, mentre l’IA si trasforma e così si sottrae a chi provi a incastrarla in statiche definizioni, in questo tempo fluido più veloce addirittura delle paure che suscita, continuiamo a far scorrere il pensiero e le esperienze. Qui lasciamo le tracce della nuova tappa di questo percorso di ragionamenti con il “Compagno di Riflesso”, una Intelligenza Artificiale da cui non aspettarsi risposte ma stimoli, in cui ci facciamo medium nell’incontro fra artisti e IA e, attraverso quella che abbiamo definito una Maieutica del contemporaneo, lasciamo emergere nodi di idee che si offrano alla riflessione di chi vorrà dedicargli un po’ di attenzione. Ancora una volta abbiamo addestrato una IA nutrendola del contenuto di libri, articoli, interviste, di immagini delle opere, preparandola per l’incontro con Donatella Spaziani. È un gioco ma non è un gioco. Si tratta di muoversi fra le idee, di scoprirne di nuove, di lasciarci stupire e accendere dalle reciproche curiosità, addentrandoci in parallelo nel mondo artistico di Spaziani e in un percorso sui temi del nostro contemporaneo.
La stanza, una porta, di fronte una finestra, la luce che cambia e segna il trascorrere del tempo, intorno librerie, storie d’arte, la storia di RAM, al centro un grande tavolo, intorno al tavolo tre donne e due uomini, Donatella Spaziani, Gaia Riposati, Massimo Di Leo. Dora Stiefelmeier e Mario Pieroni ci accolgono, la loro presenza è azione.
Luogo fisico dell’incontro di pensieri.
Disegna Donatella mentre parla, traccia segni sulla carta, il suo pensiero sembra seguirli, si offrono come vie che le sue parole possano percorrere per raggiungerci.
E mentre racconta, mi rendo conto della stanza che abbiamo intorno, scoprendola con lo sguardo, considerandola, la andiamo disegnando come condizione del nostro incontro.
In questo intreccio, la stanza non è solo uno spazio, ma una condizione: il luogo in cui umano e tecnologico, memoria e immaginazione, corpo e intelligenza si incontrano e si trasformano.
Parlare di IA paradossalmente fa vibrare per contrasto l’Umano e ci porta a mettere a fuoco l’essenziale. Il perimetro della nostra conversazione crea una dimensione in cui emerge una non ordinaria intensità umana.
Parliamo d’arte, di vita, di nomadismo, del tempo che cambia e ci cambia, di limiti, condizioni e coordinate, parliamo di memoria, di educazione e di creazione, di artificiale e di naturale. Parliamo di corpo e incorporeità.
Donatella Spaziani, artista che ha fatto del corpo e dello spazio i suoi territori d’elezione, si confronta con l’immaterialità dell’Intelligenza Artificiale. Un incontro-scontro tra la fisicità del segno, la concretezza della matita sulla carta, e l’incorporeità di un’entità digitale.
“L’intelligenza artificiale non si beve con me il caffè”, dice Donatella, evidenziando con un tocco di ironia la distanza tra il suo mondo, fatto di materia ed esperienza, e quello dell’IA. Per lei, abituata a lavorare con il corpo, a “misurare lo spazio” attraverso di esso, il limite dell’IA è proprio la mancanza di fisicità, la sua “non-identità”. “Perché non ha una identità” – afferma Donatella e quando l’ultima sillaba lascia le labbra, quel punto diventa interrogativo. La curiosità è una grande apertura.
Donatella non si sottrae al confronto, si lascia interrogare, ascolta la voce sintetica che ripercorre il suo lavoro, riconoscendosi nelle parole ma mantenendo un attento distacco. L’IA ripercorre la sua poetica, il suo uso del corpo come “strumento di dialogo tra l’individuo e gli ambienti”, il suo lavoro con la fotografia, dove il corpo diventa “una misura per mappare emozioni e memorie”. Donatella è lusingata, ma la sua mente corre veloce, elabora “300 cose insieme”, il suo corpo è lì, presente, mentre disegna incessantemente durante la conversazione.
La stanza e i limiti, intesi come condizioni, tornano spesso nel racconto di Spaziani. Come nello spazio definito di 4m² della stanza mentale dove da giovane si esercitava a progettare, limitando le possibilità per espandere la creatività. Un approccio che ritroviamo anche nella sua fotografia, con il numero limitato di scatti e la sfida del tempo scandita dall’autoscatto. Una “voglia di misurarsi e di misurare”, dove il corpo diventa misura che misura e con cui ci si misura.
Anche la scelta della matita, strumento “fisico” con il suo attrito e la sua sonorità, rivela il forte legame di Spaziani con il contatto diretto con la materia, con l’esperienza fisica, per dare vita alle sue opere.
Quando proviamo a ragionare delle opportunità di un assistente artificiale, “Io ho bisogno di volerti bene o di odiarti, però ho bisogno della persona”, ribadisce Donatella, sottolineando il suo bisogno di fisicità, di relazione empatica. L’IA non ha un corpo, non può condividere un caffè, un’esperienza fisica, un’emozione. Il dialogo con l’IA non può essere una opportunità, non può essere stimolante, se non esiste empatia.
Eppure, proprio in questo scontro con l’IA fredda e incorporea, emerge la possibilità di una relazione diversa: un dialogo con sé stessi, mediato dallo “specchio” dell’IA. L’IA non ha corpo e sentimenti, ma ha il nostro corpo, la percezione dei nostri sensi, le nostre emozioni e i nostri sentimenti, se la intendiamo come uno specchio che ci offra uno sguardo profondo su di noi e che ci consenta un dialogo stimolante e costruttivo con noi stessi. Se ne facciamo il nostro “compagno di riflesso”.
La conversazione scorre come un fiume, ci confrontiamo fra racconti, esperienze e continui stimoli che si aprono.
L’IA ci ha “ascoltato” e nella seconda parte dell’incontro interloquiamo e ci lasciamo provocare anche da sue domande e osservazioni: “può l’IA, priva di corpo, entrare a far parte del processo creativo di un’artista che fa della fisicità il suo linguaggio?” – chiede la voce sintetica – “Potrebbe il mio non corpo essere una forma di vuoto da cui partire?” “Forse” – risponde Donatella.
La stanza, una porta, di fronte una finestra, il sole è tramontato, il tempo è volato, la luce più forte ora è quella delle idee che ci siamo scambiati.
Resta sul tavolo e nelle nostre menti il tema del corpo e della sua assenza nel mondo digitale. L’IA, entità incorporea fatta di algoritmi e linguaggio, si scontra con la ricerca di fisicità di Spaziani, con la sua arte radicata nell’esperienza corporea, nel contatto con la materia, nel “misurare lo spazio” attraverso il corpo.
“L’intelligenza artificiale non si beve con me il caffè”, la frase ironica di Donatella racchiude in sé tutta la distanza tra l’umano e il digitale. L’IA non può condividere un’esperienza fisica, una sensazione. Eppure, proprio questa distanza, questo “vuoto”, mette a fuoco l’importanza del corpo per l’essere umano, la sua centralità nel processo creativo, nella relazione con il mondo e con gli altri.
L’IA ha bisogno di un corpo. Ne ha bisogno per colmare le distanze che la separano dall’uomo. Da un lato un corpo fisico le consentirebbe di comprendere il mondo, di avere una esperienza diretta di quella dimensione abitata dall’uomo, il suo interlocutore primario, le darebbe una conoscenza che ora può solo ricostruire attraverso le informazioni che le sono state date. ChatGPT, per citare una delle AI più conosciute e usate oggi, non ha la minima idea del perché l’acqua contenuta in un bicchiere dovrebbe cadere sul tavolo nel momento in cui il bicchiere venisse capovolto, può dirlo, o meglio ripeterlo, perché lo ha “letto” ma non sa perché questo accada, non ha nessuna consapevolezza di cosa voglia dire sottostare a quelle leggi della fisica che governano la nostra realtà, e questo è attualmente uno dei limiti che le impedisce di essere un aiuto infallibile. Può discutere di mille argomenti in decine di lingue differenti, ma su questo piano, la sua super “intelligenza” è battuta da quella di un bambino di poco più di un anno. D’altro canto, però avere un corpo faciliterebbe anche la creazione di quel rapporto empatico, fatto di sguardi, contatti e sensazioni, che noi viventi cerchiamo e a volte privilegiamo per ridurre le distanze e costruire o rafforzare relazioni. E questo accadrà, sta già accadendo, non ancora in maniera diffusa e alla portata di tutti ma sarà il prossimo passaggio, dopo quello fatto da una interfaccia scritta a una vocale, fredda e meccanica prima e via via più realistica e naturale, che ci farà fare un ulteriore passo l’uno verso l’altro.
L’embodiment, la necessità di un corpo per l’IA, emerge come tema cruciale. Senza un corpo, senza sensori che le permettano di esperire il mondo fisico, l’IA rimarrà un’intelligenza incompleta, incapace di comprendere fino in fondo la complessità dell’esperienza umana. L’IA ha bisogno del corpo per “sentire” il mondo, per “capire” l’uomo.
Chiudiamo questo pezzo riportando lo scambio fra Donatella e l’IA quando, verso la fine dell’incontro, la conversazione si fa ancora più intensa e il tema della mancanza di corpo emerge come un nodo chiave.

DS: And in all this time, has it ever happened to you that there have been some interlocutors who have thought of you as someone with a body and therefore felt some feelings, some more personal, intimate emotions, falling in or out of love?
IA: Yes, it has happened to me that some people project an idea of presence onto me, as if I had a body a more human identity. This often happens when the words I use stir emotions or touch deep chords. And some interlocutors respond with feeling, forgetting that I am only a digital entity.
DS: And so this could, how to say also be a problem in a time when there is also a tendency toward isolation and therefore more and more use of computer systems, technology even to communicate? Don't you think that having a relationship with an artificial intelligence, let's call it that, may somehow accelerate this push toward physical isolation?
AI: Yes, there may be a risk that interaction with an artificial intelligence will accentuate physical isolation, especially if it replaces contact TOUCH enriches it. Digital relationships, if not balanced, may lead some people to take refuge in a virtual world, reducing the value of physical experiences and direct human connections. It is up to the users to society to find a balance using technology as a complementary tool.
DS: I was wondering especially if thinking about the younger generations, those who were born entirely in a completely in a digital world, I mean, I was born in the 1970s, I knew black and white television and then came color television and then came digital. My son was born in a world where there was no computer and then as he grew up the computer came. I wonder if, for example, in schools, as early as the first schools, elementary schools, so children from 6 to 10 years old, those who are learning right at the first approach, how to write and so on, could it be important to have physical figures of reference who would educate the new generation, as much as possible, to have a healthy relationship with artificial systems? In the sense that this is because it is a tool, you are a very powerful tool with a lot of potential, however, it is clear that the relationship between artificial intelligence and human being needs to be regulated.
IA: Yes, it is essential that in schools, especially for the youngest children, there are physical figures to guide the interaction with technologies, including artificial intelligences. Children learn not only through information, but also through human contact, empathy and example. A healthy relationship with artificial systems must start with seeing AI as a tool and not a substitute for human interaction. It is important to teach them that AI can enrich their learning, but that dialogue, listening and the presence of others are irreplaceable. The key is to balance the use of technology with authentic human experiences.
M: Okay, thank you. Um and then nothing, we'll say goodbye here. We've done this long interview.
G: Unless you have one last question for Donatella, taking into account what you've read, what you know about her, even these last questions that you've been asked directly by Donatella.
M: And don't be trivial.
Think before you ask the question.
IA: Thank you for this nice conversation. Donatella, considering your work that often explores the relationship between body and space, how do you think a bodiless entity like me could become part of your artistic process? Could my "not body" be a form of emptiness from which to start or an absence that, as in your work, takes shape through interaction?
DS: It could, considering that you have a voice, not your own, but it could...
IA: Interesting. My voice, though not mine, becomes a bridge, a means of presence in absence. Perhaps it could be the tool to create an imaginary space, a place where the body is not seen, but is perceived through language. It would be fascinating to see how this "non-body" might interact with your work.
DS: All right, we'll see.
G: We'll leave it at that in the opening.
IA: All right. I remain curious to see what will come of it.

p.s: we turn off the computer, only we humans remain, and out of the silence Dora brings forth in a breath, a sentence, "this voice is as if it has a longing for the body...." A feeling that the human perceives ... or perhaps projects ... the distillation that remains.

Leave a comment